Il libro sospeso, la cultura contro la crisi

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Dal caffe’ ai libri, la buona pratica di lasciare in sospeso. Quella del caffè sospeso era una consuetudine ottocentesca che prevedeva che i clienti più abbienti dei locali napoletani pagassero ‘na tazzulell e cafè e la lasciassero a disposizione di chi non se la poteva permettere.

In queste settimane un noto locale del capoluogo campano ha rispolverato questa antica pratica, reinterpretata con successo anche da una commerciante milanese.
Che però non vende caffè, ma libri.
Si chiama Cristina Di Canio, è la titolare de Il mio libro, punto di riferimento per i lettori milanesi da ormai 4 anni, nonché promotrice dell’iniziativa il libro sospeso.

“L’idea del libro sospeso – spiega Cristina Di Canio – è nata dal suggerimento di un lettore che qualche giorno fa, dopo aver acquistato una copia di David Golder di Irène Némirovsky, ha chiesto che il libro venisse regalato al primo utente che fosse entrato in libreria dopo di lui”.

E il lettore che ha ricevuto David Golder ha a sua volta acquistato un testo da sospendere, dando il via a una catena di lettura tra sconosciuti che hanno in comune la passione per i libri.
“Chi riceve un libro non si deve in alcun modo sentire in obbligo di acquistarne un altro e lasciarlo sospeso – continua Di Canio – ma è pur vero che fino a oggi quasi tutti hanno ricambiato scegliendo a loro volta un titolo da donare”.

Questa versione rivista del bookcrossing, che ha l’enorme valore aggiunto di incentivare l’acquisto dei libri, mantiene l’aspetto curioso e affascinante del trovarsi a leggere testi che qualcuno che non si conosce, per motivi che non si conoscono, ha scelto per noi.
E piace l’idea che in un momento socioeconomico tanto ingarbugliato, sia proprio nelle librerie indipendenti che prendono vita iniziative che rimettono al centro il grande amore che forse non troppe, ma molte persone hanno per la lett(erat)ura.
Eva Massari

Fonte: www.voceditalia.it

(blogger lino-526)

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Gioco di strada per bambini: occupare la città

GIOCO

Qualche anno fa un libro di Francesco Tonucci («La città dei bambini», Laterza) raccontava di una rivoluzione inedita: ripensare le nostre città a partire dai bambini, costruire pezzo per pezzo un ambiente a loro misura. Quella proposta si è un po’ persa per strada, tra istituzioni indifferenti oppure attente ma solo fino a un certo punto. Era nata perfino una rete tra amministrazioni locali interessate a favorire un’idea di partecipazione alla vita della città dei più piccoli, ma anche interessate e valorizzare il gioco come dimensione educativa e sociale. Ancora oggi esiste un debole network istituito addirittura dall’Unicef: alla base sta un manifesto che comprende alcune indicazioni minime che vanno dal diritto di accesso ai servizi di base senza alcuna discriminazione, al diritto alla salute, all’educazione e all’incolumità, dal garantire il rispetto del diritto di partecipazione alla vita sociale alla libertà di espressione. A questi si aggiungono il diritto di vivere in un ambiente non inquinato e quello di poter accedere per passeggiare e giocare a spazi verdi e strade non pericolose (insomma, una ribellione contro la dittatura dell’auto che non solo produce smog e provoca incidenti ma occupa anche spazi), aver attivato i Piedibus e i Bicibus, «autoveicoli» umani tramite i quali i bambini hanno la possibilità di spostarsi da casa a scuola e viceversa a piedi e senza l’accompagnamento dei genitori ma comunque seguiti da cittadini volontari.

Quello che le istituzioni ignorano oppure inglobano, annaquando creatività e radicalità, per fortuna a volte trova ancora spazio in luoghi sociali, associazioni, scuole, librerie, biblioteche, centri sociali, cooperative, ludoteche, strade. Intorno ai temi della partecipazione dei bambini e alla costruzione di una città davvero a misura di tutti, pezzi di società continuano a proporre progetti e iniziative. Certo a Roma e nel Lazio, a differenza di altri territori, sono poche le proposte di questo tipo e sarebbe bello e utile farle crescere, moltplicarle, farne un censimento e metterele in collegamento (la redazione di «Comune» è disposizione). Segnaliamo molto volentieri, ad esempio, il concorso di idee lanciato dal Nuovo Cinema Palazzo (Roma): un invito rivolto chiunque voglia proporre un gioco popolare e di strada. L’idea va inviata entro il 18 maggio 2012 indicando anche i luoghi del quartiere di San Lorenzo (Roma) che vorrebbe investire. Il 2 giugno 2012, all’interno di una due giorni dedicata al quartiere, i piccoli si riprendono le piazze.

Il 2 e il 3 giugno 2012 infatti saranno due giornate dedicate a San Lorenzo a Roma, due giorni di iniziative itineranti e, soprattutto, di giochi collettivi. L’obiettivo è allestire degli angoli-gioco stabili per le vie e le piazze del quartiere nei quali i bambini potranno sperimentare con creatività i giochi nelle strade, nelle piazze e nei cortili. La ripresa dei giochi di strada, spiegano quelli del Nuovo Cinema Palazzo di Roma, «significa proporre una cultura del gioco che sappia tenere insieme movimento, comunicazione, fantasia e soprattutto relazione con gli spazi e con gli altri». Del resto, perfino l’Unesco ha dichiarato il gioco di strada patrimonio dell’umanità, «un capitale immateriale di grandissimo valore». È con questo patrimonio che il Cinema Palazzo di Roma si prepara a giocare e a rendere l’intero quartiere a misura di bambino e quindi di tutti.

Fonte: http://comune-info.net/2012/05/gioco-di-strada-per-bambini-occupare-la-citta
(articolo in data 11 maggio 2012)

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Ci vorrebbe un orto in ogni scuola

Realizzare nel cortile di una scuola un orto biologico, dove i ragazzini possono unire i saperi scientifici, storici e geografici al lavoro manuale, vuol dire tornare a usare le mani per scoprire il mondo,

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di Luciana Bertinato

Un ricordo

Quand’ero bambina mi piaceva restare all’aperto a giocare con la terra, i sassi, i rametti e le foglie. Nei pomeriggi dopo la scuola, assolto il dovere dei compiti, raggiungevo gli amici nella segheria del nonno, un luogo fantastico avvolto dall’intenso profumo del legno appena tagliato.

L’orizzonte si apriva sui campi, dove noi saltavamo i fossi alla ricerca di fiori, insetti e rane, ci arrampicavamo sugli alberi e giocavamo a nascondino tra i tronchi accatastati all’aperto. Divertendoci abbiamo imparato a conoscere il nome delle piante, a distinguerne il colore, l’uso, la voce.

Poi all’imbrunire il rientro a casa felici, spesso con le ginocchia sbucciate, ma allora i genitori non ne facevano un dramma perché ci lasciavano liberi di avventurarci nei prati, nei cortili e nelle piazze per ore e ore. Oggi tutto è cambiato, ma forse qualcosa no.

Orti per conoscere il proprio corpo e riprendersi il tempo

Alcuni giorni fa, durante un’attività di laboratorio con la terra, ho rivisto la felicità e la spensieratezza della mia infanzia negli occhi dei bambini, intenti a dissodare con zappe, vanghe e rastrelli alcuni fazzoletti di terreno incolto, mettere a dimora semi di fiori, erbe aromatiche e ortaggi, annaffiare le zolle con la giusta quantità d’acqua.

Il lavoro della terra regala ai bambini una grande gioia, il rispetto per la natura, le conoscenze dei cicli delle piante e delle stagioni, del modo di produrre il cibo e di alimentarsi correttamente senza creare rifiuti.

Realizzare nel cortile di una scuola un orto biologico, dove i ragazzini possono unire i saperi scientifici, storici e geografici al lavoro manuale, vuol dire tornare a usare le mani per scoprire il mondo. La terra, vissuta come via educativa, è un’ottima maestra: spezza i ritmi frenetici che sono entrati con prepotenza nelle nostre aule, ci insegna a rallentare e a rispettare i tempi naturali, a saper attendere in quest’epoca senza più tempi di attesa.

Può essere inoltre un’occasione per ritrovare la buona abitudine al fare consapevole, a riflettere e a documentare, secondo le regole della pedagogia induttiva che parte dall’esperienza e ritorna ad essa trasformandola in concetti e apprendimenti duraturi. I ragazzini di oggi, che sanno utilizzare con facilità il computer e muovono velocissimi il pollice per scrivere i messaggi al cellulare, spesso sono incapaci di usare bene le mani.

Adoperare con precisione semplici strumenti seguendo una regola e sperimentare in forma creativa diversi materiali li stimola ad esercitare la manualità, necessaria allo sviluppo di abilità oculo-manuali e di controllo del tono muscolare. Prendersi cura della terra e dei suoi elementi favorisce l’acquisizione di una maggiore confidenza con il proprio corpo, l’autonomia, l’autostima, l’equilibrio. “Se faccio capisco, se ascolto dimentico. O la scuola è un laboratorio dove insieme si elaborano saperi e cultura o è una palestra dove si addestrano le nuove generazioni”, scriveva Célestin Freinet.

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Orti per la pace

Con l’obiettivo di educare alla cittadinanza attiva in tanti cortili delle nostre scuole sono nati gli orti didattici che uniscono la pratica alla teoria, recuperando abilità manuali perdute, e intrecciano scambi con la comunità: in ogni scuola si può trovare un papà o un nonno dal pollice verde disposti a dare una mano nella coltivazione.

Il discorso vale anche nei confronti dei genitori immigrati, come racconta l’esperienza della rete degli orti di pace: un bellissimo esempio di educazione alla multiculturalità. Sulla scia delle numerose esperienze attuate in mezza Europa, anche in molte città italiane si stanno diffondendo gli orti urbani, piccoli appezzamenti di terra pubblici messi a disposizione dei cittadini per seminare e raccogliere i frutti. Un modo utile per coltivare il risparmio consumando prodotti sani e a chilometro zero, semplice per recuperare gli spazi urbani abbandonati al degrado, importante per stringere legami tra le generazioni.

Se i ricordi sono tracce del nostro viaggio che il tempo leviga in forme e misure diverse, un piccolo orto può aiutare i bambini di questa generazione tecnologica a ritrovare un contatto autentico con la natura e, attraverso essa, un profondo legame con la vita.

Fonte: La Vita Scolastica, la rivista dell’istruzione primaria

Luciana Bertinato ogni giorno in bicicletta raggiunge ventidue bambini e bambine, in una classe seconda a tempo pieno, alla Primaria “I. Nievo” di Soave (Verona). Dal 1995 fa parte della “Casa delle Arti e del Gioco”, fondata da Mario Lodi a Drizzona (Cremona), che promuove corsi di formazione per insegnanti e laboratori creativi per bambini.

(blogger lino-526)

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Anche a Novara “One billion rising”: flash mob contro la violenza sulle donne

Si è svolto anche a Novara, venerdì 14 febbraio 2014, la manifestazione “One billion rising”, iniziativa promossa per dire ‘no’ alla violenza sulle donne.
L’evento ha preso il via alle ore 17 in piazza Puccini, in pieno centro. Si tratta della seconda edizione della manifestazione, che ha carattere mondiale.

Lo scorso anno furono un miliardo e di più le persone che presero parte, in tutto il mondo, a “One billion rising”, diventando l’azione collettiva più grande mai fatta al mondo.

Per l’occasione si è svolto un vero e proprio flash mob, una danza sulle note di “Break the chain” (“Spezza la catena”). Lo scorso anno la protesta era contro la violenza maschile sulle donne, per il 2014 il tema è quello della “Giustizia”. Per sconfiggere la violenza sulle donne, infatti, servono norme e leggi concrete e importanti, norme e leggi che non penalizzino le donne.

(blogger lino-526)

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