Villa Panza Kids, i laboratori del FAI a Varese

Senzanome

Si gioca con la creatività a Villa Panza, con i laboratori per bambini dai 4 ai 12 anni, provando ad immergersi in universi di colori utilizzando la luce e gli elementi naturali per sperimentare e creare divertendosi.

A Villa Panza, Bene FAI aperto al pubblico a Varese in Piazza Litta 1, gli stimoli multisensoriali sono l’occasione per conoscere e sperimentare, divertendosi, i linguaggi artistici. La rassegna si compone di un ricco calendario di attività per accompagnare i bambini e le loro famiglie alla scoperta dei linguaggi dell’arte contemporanea in modo accessibile e coinvolgente: si sperimentano le tecniche pittoriche, si crea con le mani, si organizzano cacce al tesoro multisensoriali, e si gioca tra arte e natura nel parco della Villa con tutta la famiglia.

Il ricco calendario, attivo fino ai primi giorni di dicembre, offre opportunità per tutti. Prenotazione obbligatoria.

Potete trovare ulteriori informazioni sul sito web del FAI dedicato a Villa Panza Kids.

Buon divertimento!

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Ci vorrebbe un orto in ogni scuola

Realizzare nel cortile di una scuola un orto biologico, dove i ragazzini possono unire i saperi scientifici, storici e geografici al lavoro manuale, vuol dire tornare a usare le mani per scoprire il mondo,

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di Luciana Bertinato

Un ricordo

Quand’ero bambina mi piaceva restare all’aperto a giocare con la terra, i sassi, i rametti e le foglie. Nei pomeriggi dopo la scuola, assolto il dovere dei compiti, raggiungevo gli amici nella segheria del nonno, un luogo fantastico avvolto dall’intenso profumo del legno appena tagliato.

L’orizzonte si apriva sui campi, dove noi saltavamo i fossi alla ricerca di fiori, insetti e rane, ci arrampicavamo sugli alberi e giocavamo a nascondino tra i tronchi accatastati all’aperto. Divertendoci abbiamo imparato a conoscere il nome delle piante, a distinguerne il colore, l’uso, la voce.

Poi all’imbrunire il rientro a casa felici, spesso con le ginocchia sbucciate, ma allora i genitori non ne facevano un dramma perché ci lasciavano liberi di avventurarci nei prati, nei cortili e nelle piazze per ore e ore. Oggi tutto è cambiato, ma forse qualcosa no.

Orti per conoscere il proprio corpo e riprendersi il tempo

Alcuni giorni fa, durante un’attività di laboratorio con la terra, ho rivisto la felicità e la spensieratezza della mia infanzia negli occhi dei bambini, intenti a dissodare con zappe, vanghe e rastrelli alcuni fazzoletti di terreno incolto, mettere a dimora semi di fiori, erbe aromatiche e ortaggi, annaffiare le zolle con la giusta quantità d’acqua.

Il lavoro della terra regala ai bambini una grande gioia, il rispetto per la natura, le conoscenze dei cicli delle piante e delle stagioni, del modo di produrre il cibo e di alimentarsi correttamente senza creare rifiuti.

Realizzare nel cortile di una scuola un orto biologico, dove i ragazzini possono unire i saperi scientifici, storici e geografici al lavoro manuale, vuol dire tornare a usare le mani per scoprire il mondo. La terra, vissuta come via educativa, è un’ottima maestra: spezza i ritmi frenetici che sono entrati con prepotenza nelle nostre aule, ci insegna a rallentare e a rispettare i tempi naturali, a saper attendere in quest’epoca senza più tempi di attesa.

Può essere inoltre un’occasione per ritrovare la buona abitudine al fare consapevole, a riflettere e a documentare, secondo le regole della pedagogia induttiva che parte dall’esperienza e ritorna ad essa trasformandola in concetti e apprendimenti duraturi. I ragazzini di oggi, che sanno utilizzare con facilità il computer e muovono velocissimi il pollice per scrivere i messaggi al cellulare, spesso sono incapaci di usare bene le mani.

Adoperare con precisione semplici strumenti seguendo una regola e sperimentare in forma creativa diversi materiali li stimola ad esercitare la manualità, necessaria allo sviluppo di abilità oculo-manuali e di controllo del tono muscolare. Prendersi cura della terra e dei suoi elementi favorisce l’acquisizione di una maggiore confidenza con il proprio corpo, l’autonomia, l’autostima, l’equilibrio. “Se faccio capisco, se ascolto dimentico. O la scuola è un laboratorio dove insieme si elaborano saperi e cultura o è una palestra dove si addestrano le nuove generazioni”, scriveva Célestin Freinet.

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Orti per la pace

Con l’obiettivo di educare alla cittadinanza attiva in tanti cortili delle nostre scuole sono nati gli orti didattici che uniscono la pratica alla teoria, recuperando abilità manuali perdute, e intrecciano scambi con la comunità: in ogni scuola si può trovare un papà o un nonno dal pollice verde disposti a dare una mano nella coltivazione.

Il discorso vale anche nei confronti dei genitori immigrati, come racconta l’esperienza della rete degli orti di pace: un bellissimo esempio di educazione alla multiculturalità. Sulla scia delle numerose esperienze attuate in mezza Europa, anche in molte città italiane si stanno diffondendo gli orti urbani, piccoli appezzamenti di terra pubblici messi a disposizione dei cittadini per seminare e raccogliere i frutti. Un modo utile per coltivare il risparmio consumando prodotti sani e a chilometro zero, semplice per recuperare gli spazi urbani abbandonati al degrado, importante per stringere legami tra le generazioni.

Se i ricordi sono tracce del nostro viaggio che il tempo leviga in forme e misure diverse, un piccolo orto può aiutare i bambini di questa generazione tecnologica a ritrovare un contatto autentico con la natura e, attraverso essa, un profondo legame con la vita.

Fonte: La Vita Scolastica, la rivista dell’istruzione primaria

Luciana Bertinato ogni giorno in bicicletta raggiunge ventidue bambini e bambine, in una classe seconda a tempo pieno, alla Primaria “I. Nievo” di Soave (Verona). Dal 1995 fa parte della “Casa delle Arti e del Gioco”, fondata da Mario Lodi a Drizzona (Cremona), che promuove corsi di formazione per insegnanti e laboratori creativi per bambini.

(blogger lino-526)

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Gita al Rifugio ARP

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“Davvero non possiamo togliere niente? E’ pesantissimo.” La nostra gita al rifugio Arp, in Valle d’Aosta inizia così. Con Fabio che tira su gli zaini e li riappoggia a terra sconsolato. Abbiamo tre bambini. No, che non si può togliere niente. La gita mi darà ragione. Anzi! Avremmo dovuto portare una felpa in più.

Rassegnati al peso, prendiamo zaini e bimbi, carichiamo tutto in auto e raggiungiamo al nostro solito punto di ritrovo Anne e Lele con i loro due bimbi in auto. Pronti? Si parte!

Il viaggio in auto è lunghetto e per noi non facile. Due bimbi su tre soffrono l’auto e le curve valdostane non aiutano….

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Ma finalmente si arriva a Estoul e zaino in spalla si inizia a camminare. La prima grande avventura ci aspetta a metà strada, o meglio ci viene incontro a metà strada: una mandria di mucche da corsa. Sembra di essere a Pamplona. Il nostro gruppo si divide e le mucche da corsa ci passano in mezzo al galoppo. Una sola si ferma all’improvviso a guardarci. Non pensavo che una mucca potesse avere lo sguardo perplesso. ”Ohibò, che ci fanno questi smilzetti a due gambe sulla nostra strada?” Vabbè mi sposto io che questi son lenti”.

Francesco, uno dei bimbi, uscirà un po’ traumatizzato da questa esperienza e per tutti i due giorni della gita si guarderà indietro spaventato ad ogni suono di campanaccio che sentirà. Che le mucche son bestie placide e pacifiche, buone solo a brucare a fare latte, non ci crede più nessuno di noi. Le mucche corrono e pure veloci e sanno essere giocose pazzerellone sui prati. Questo adesso lo sappiamo.

L’ultimo tratto del sentiero per arrivare al rifugio è il più duro. Ormai siamo tutti stanchi. E’ da quasi quattro ore che siamo in giro. Non che ci vogliano quattro ore per arrivare al rifugio, ma i tempi di cinque bimbi dai due ai sei anni son questi qui. Sull’ultima rampa, Margherita, la più piccola, si addormenta in spalla al papà. E’ stata forte, ma ora non ce la fa proprio più.

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Ed ecco il rifugio. Bellissimo. Entriamo e prendiamo possesso delle nostre stanze. Sembra un piccolo albergo.

Ci sentiamo perfettamente a nostro agio. La gentilezza e professionalità dei gestori farà il resto e così passeremo un bel pomeriggio, e una piacevole serata.  La cena è ottima, con il menù separato per bimbi e adulti, un tocco in più a garantire che tutto riesca perfettamente. L’unica cosa che proprio manca sono le marmotte. Si sentono i loro fischi ma se ne vedono proprio poche. Ci sarebbe anche la serata all’insegna dell’osservazione del cielo organizzata dai gestori del rifugio  con il  prof. astrofilo Chiaberto Paolo e Peacquin Mario, ma la stanchezza non ce lo permette. E anche il freddo a dire il vero. Le stelle le vedremo nei nostri sogni….

La mattina, dopo una luculliana colazione, decidiamo di fare una piccola escursione ai laghi Palasina, appena sopra il rifugio e questo ci permette finalmente di vedere da vicino una graziosissima marmotta.

Il sentiero per arrivare richiede qualche sforzo e per i bambini si trasforma in grande avventura. Il paesaggio che si presenta ai nostri occhi, arrivati al lago, è semplicemente meraviglioso. Peccato che il sole non ne voglia sapere di farsi vedere e la temperatura sia tutt’altro che mite. Nonostante questo i bimbi riescono a pucciare i piedini nell’acqua gelida del lago e a correre scalzi sul prato. E così facciamo la nostra prima “seconda colazione”.

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Dopo i laghi inizia il rientro. La discesa è sicuramente meno faticosa della salita, ma i bimbi sono proprio stanchi e la sterrata sembra non finire mai. Facciamo in tempo e fare altre due “seconde colazioni”. Niente mucche da corsa questa volta! E così, di seconda colazione in seconda colazione, arriviamo all’auto. I bimbi si addormentano nell’esatto istante in cui toccano il sedile.

E’ stata una grande avventura, per tutti. Grande e bella. Il giorno dopo nella quotidianità domestica e lavorativa, in mezzo a strade cittadine grigie e rumorose, dietro ai gas di scarico delle auto, mi sorprenderò a domandarmi se davvero l’ho vissuta. Se davvero il giorno prima eravamo in una valle in cui gli unici colori erano il verde dei prati e l’azzurro del cielo, in cui gli unici rumori erano i fischi delle marmotte e i campanacci delle mucche e gli unici profumi erano quelli dell’erba e dei fiori. E la risposta è che si, mi fanno troppo male le gambe per non essere arrivata fino ad un posto così incantevole, fino al rifugio Arp.

(blogger anne su testo di alessandra)

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Il pane Miele e Sale di Al Carlin di poum

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Riceviamo una interessante iniziativa dell’Azienda biologica Al Carlin di poum di Bellinzago che assieme a Erika e Thomas del Bed & Breakfast Casa Rosa di Agrano di Omegna (VB)  www.casa-rosa.net  stanno cercando di realizzare un incontro tra settembre ed ottobre sulla preparazione del pane fatto in casa utilizzando la fermentazione spontanea derivata dall’utilizzo di miele e sale.

L’incontro si articola su due mezze giornate: un pomeriggio per la macinatura del grano e la preparazione della pasta ed il mattino seguente per la cottura nel forno dopo una notte di fermentazione.

Come si fa il pane miele-sale ?

Il nome del pane viene dalla maniera in cui è fatto: con solo un cucchiaio di miele e uno di sale (per un chilo di farina) per iniziare la fermentazione, una fermentazione spontanea senza lievito di birra nemmeno pasta madre. I fermenti naturali nella farina e nel miele fanno il lavoro. Perciò abbiamo bisogno di farina macinata di fresco, e anche di miele di buona qualità. Miele e sale formano una grande polarità che si può paragonare con la radice ed il fiore di una pianta che sono distinti però anche complementi dell’organismo intero. Tale polarità stimola l’attività dei fermenti. Risulta un’atmosfera nella pasta, che aumenta il processo della fermentazione. La fermentazione non viene iniziata come solito da una cosa aggiunta, come per esempio il lievito, invece inizia spontaneamente, da sé stesso.

Il pane che risulta dà un profumo e poi un gusto buonissimo. Un gusto molto ricco, perché i fermenti hanno cambiato la pasta profondamente, e il procedere completo, che dura per 18-20 ore, fa il pane davvero digeribile e simpatico per gli intestini. Invece il pane integrale preparato con lievito di birra non è ben digeribile, e spesso da problemi nella digestione. Il gusto del pane miele-sale è meno aspro di quello del pane con pasta madre, perché i batteri lattici fanno la maggior parte della fermentazione, i batteri acidi molto meno.

Il processo della preparazione è semplice. Comincia con macinare i chicchi (frumento o farro sono ben adatti, ma anche segale o una mistura). Poi sciogliamo un cucchiaio di sale (15 g) e un cucchiaio di miele (23 g) in 700 ml di acqua tiepida (40 gradi). La pasta diventa morbida e liscia dopo un momento di impastazione e forma un´unità. Adesso aggiungiamo olio di girasole o di olivo (4 cuchiai) e impastiamo la pasta con le mani per mezz’ora, con una macchina forte invece per un´ora. Preferisco impastare con le mani, perché così diventa un rapporto più vicino fra me e il processo. La pasta sotto le mani si sente molto simpatica con il suo calore e morbidezza.

Poi tagliamo la pasta in due pezzi (da un chilo farina risultano due pani da 750 g) e di ciascuno formiamo di nuovo un corpo rotondo. Le forme sono calde e preparate con olio. Mettiamo i due pezzi nelle forme e copriamole con foglio di alluminio. Adesso la pasta resta ad un posto caldo (verso le 30 gradi, per esempio nel forno con una lampadina di 25 Watt) per almeno 18 ore. Se cominciamo a mezzogiorno, possiamo cuocere il pane la mattina prossima verso le otto. Ha bisogno di 1 ½ ore nel forno (30 minuti a 210 gradi poi 60 minuti a 150 gradi). Pronto!

Ed allora, chi fosse interessato a questa bella avventura, non esiti a contattare Carlo e Paola.

Ah, dimenticavo, portate i vostri figli!

Per informazioni:

Al Carlîn di pôum

PRODUZIONE BIOLOGICA ORTOFRUTTICOLA
Mele: antiche varietà piemontesi

Azienda agricola di Molinelli Paola 
P.IVA: 02033830031
Via Arno, 14 – 28043 Bellinzago (NO)
tel. / fax 0321 985796
Cell. 349 1093052 – 349 8489610
www.alcarlindipoum.it

 (blogger lino-526)

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