Volevo nascere vento – Storia di Rita che sfidò la mafia con Paolo Borsellino

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Andrea Gentile, Volevo nascere vento – Storia di Rita che sfidò la mafia con Paolo Borsellino, Mondadori, 2012, 156 p., € 14.00


Chi era Rita Atria lo racconta ai ragazzi Andrea Gentile. E lo racconta, come dice lui stesso in prefazione, rispettando i fatti, i documenti. Intervenendo però in quegli spazi che non potrebbero essere riempiti. Gli spazi dei pensieri, dei sogni, dei desideri. Dando corpo e voce a una ragazza, vittima indiretta della mafia, cresciuta in un ambiente di mafia che, respirando aria e orgoglio di mafia (com’era felice, da bambina, della riverenza che circondava papà: “baciamo le mani” , “Vossia”), ebbe poi il coraggio di sottrarsi alla mafia, di denunciare la mafia, con l’aiuto paterno di Paolo Borsellino. 
Rita non era mafiosa, non era “pentita”, Rita aveva visto, sentito e soprattutto vissuto “nella mafia”. In fondo, la mafia era papà (seppure “paciere”), era il fratello. Mafiosi uccisi da mafia. Le guerre di mafia che insanguinarono la Sicilia dalla fine degli anni Settanta ai primi anni Novanta del secolo scorso trovano eco nelle pagine del libro. Come pure i caduti per la causa della giustizia e della libertà: da Impastato a Pio La Torre, da Falcone a giudici, giornalisti, agenti di polizia. 
Rita Atria è per la cronaca una “testimone di giustizia”. La definizione fu coniata da un decreto legge, riportato anche in una pagina del libro. Ma questa “identità” arrivò troppo tardi, per Rita, che non aveva più diritto alla propria identità.  Aveva seguito la cognata nella sua testimonianza, condannandosi a un anonimato d’altra storia e d’altro nome. Noi non sappiamo come l’avessero chiamata, per sottrarla alla vendetta della mafia. Diciamo pure con le parole di Andrea Gentile che Rita voleva “nascere fiore”, “nascere luna”, “nascere vento”. 
La storia di Rita Atria è raccontata con la cura che si ha per la propria anima. Un’identificazione. Se si è poeti, se si ama la poesia, si scrive con poesia. Vale per Rita, vale per Andrea. 
Tutta la vita della ragazzina, siciliana di Partanna, si svolge in una sorta di “romanzo di vita vera”. Che attinge ispirazione da pagine di diario (le sue, della ragazza) e le integra e le interpreta. Interrogandola. Con delicatezza, con rispetto, con pudore. Come faceva Paolo Borsellino. Seguendola. Assecondandola. Educandola. 
A tratti, sembra quasi venirne fuori la storia normale di una ragazza “normale”, con aspirazioni normali, desideri normali: l’amore con Gabriele (vero, nella storia vera) occupa molte pagine, l’aspirazione a realizzarsi negli affetti, nello studio, nel lavoro, anche. Ma no, però, che non è “normale” che una ragazzina debba nascondersi agli altri e a se stessa, per proteggere la propria vita e la propria normalità. 
Perché la storia della vita troppo breve di Rita è una storia di fuga. Da sé, dalla propria casa, dalla propria terra. Di città in città, di casa in casa. Guardandosi alle spalle, cautelandosi negli spostamenti, stando il più possibile al riparo. In fondo, prigioniera. 
Rita non ci sta del tutto al patto di tutela della sua propria vita. E va. Esce per le strade, è curiosa della gente, è entusiasta delle bellezze e del cielo di maggio di Roma. Roma per poco non le sembra più l’esilio cui è confinata. Perché ogni sosta è una meraviglia. E “quella volta” di Gabriele, l’inizio di una sperata felicità. 
Ma a un certo punto, per sperare, per vivere, a Rita, non bastarono più neanche Gabriele, la cognata e le nuove amiche. Dopo il 19 luglio 1993, con l’attentato di via D’Amelio e la perdita di Paolo Borsellino, a Rita non bastò più nulla. 
Una data sigilla la sua storia. 26 luglio 1992. Nello stesso anno di Falcone, a pochi giorni dalla fine di Borsellino.
In appendice, una nota dell’autore, come in un articolo di cronaca, dà conto, nella verità, della vita e della morte della ragazzina che gli è stata cara per tutte le centocinquantasei pagine del suo “romanzo”.
Una sovraccoperta disegnata da Paolo D’Altan avvolge, in una bella celebrazione, il libro che lo accoglie.

(blogger lino-526)

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Quante tante donne – Le pari opportunità spiegate ai bambini

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E’ di un bellissimo libro uscito per I Sassolini della Mondadori un paio di anni fa che vogliamo parlare, scritto da Anna Sarfatti con la prefazione di Margherita Hack.

Ci parla delle pari opportunità.

Le bambine giocano con le bambole. I bambini con le costruzioni. Le bambine fanno danza. I bambini giocano a calcio. Chi l’ha deciso ? La parità tra maschi e femmine è un principio sancito dalla Costituzione, eppure ancora oggi è un obiettivo lontano. Le disuguaglianze cominciano a diffondersi quando siamo piccoli, il peggio è che crescono insieme a noi.

Così le donne accudiscono i bambini e gli uomini vanno a lavorare. Le donne fanno le segretarie e gli uomini i presidenti. Ma non tutte, e non a tutti, va bene così.

Ecco un modo per imparare con le rime e i disegni a lottare per i propri sogni, a capire che da grande si può fare la mamma e la casalinga, ma anche la sindaca e l’inventrice o, perchè no, la fotografa di ragnatele e l’accompagnatrice di sirene.

Un libro scritto al femminile, ma rivolto anche ai ragazzi e agli uomini che un giorno diventeranno.

(articolo di: nicoletta)

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